Per me il Natale non è una pausa felice: è una soglia.
Un punto dell’anno in cui le difese si abbassano e ciò che abbiamo tenuto sotto controllo torna a farsi sentire.
Non per ferirci, ma per ricordarci che siamo vivi anche lì dove fa male.
In questi giorni emerge la distanza tra chi siamo diventati e chi abbiamo dovuto essere per resistere.
Le parti adattate, quelle compiacenti, quelle che hanno imparato a stringere i denti invece di chiedere.
Il Natale, psicologicamente, è questo: il momento in cui il sistema smette di correre e l’anima chiede ascolto.
Non tutto ciò che riaffiora è luminoso.
Ci sono stanchezze profonde, solitudini non dette, rabbie educate al silenzio.
Ma ignorarle non le guarisce.
Riconoscerle sì.
Perché ciò che viene visto smette di agire nell’ombra.
Il nuovo anno non è una pagina bianca: è una pagina già scritta a matita.
Porta con sé schemi, paure, desideri antichi.
La vera possibilità non è cambiare tutto, ma interrompere ciò che ci fa male in automatico.
Un gesto consapevole alla volta.
Una scelta meno punitiva verso noi stessi.
Auguro un Natale che non anestetizzi, ma integri.
Che permetta di sentire senza il bisogno immediato di aggiustare.
E un anno nuovo che non chieda di essere forti, produttivi o migliori,
ma più allineati.
Più interi.
Più fedeli a ciò che, dentro, non vuole più essere ignorato.
Buon Natale.
Buon un anno nuovo in cui il rapporto più importante — quello con voi stessi — smetta di essere una lotta e diventi finalmente uno spazio sicuro.
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