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mercoledì 29 maggio 2024

NEFARIOUS , spettacolare e geniale Sean Patrick Flanery.

 A pensarci bene, le idee sono un po’ come la mamma: volente o nolente, tutti ne hanno una. Ve ne sono di grandi e di piccole, di belle e di brutte, di geniali o a dir poco imbarazzanti. A volte, però, alcune idee somigliano a tal punto alla Fede che, se ci si crede sino in fondo, riescono a fare autentici miracoli. Ed è un qualcosa, se non certo di miracoloso, quantomeno di sorprendente ciò che Chuck Konzelman e Cary Solomon sono riusciti a realizzare con questo piccolo e curioso Nefarious , tirando in piedi pressoché dal nulla e con risorse ridotte a ben meno che al proverbiale osso un insolito thriller decisamente poco para e marcatamente più psicologico, capace di prendere di petto un sotto genere ormai fiaccamente abusato come ilpossession movie e di buttarlo senza troppi complimenti dritto in lavatrice, centrifugandolo per benino sino a riportarlo, se non ai vecchi cari splendori, quanto meno a una fresca e corroborante dignità. Il tutto senza che alcuno sboccato insulto ultramondano alle altrui genitrici o fiotto di vomito multicolore giunga per una volta a imbrattare la bianca parete dello schermo. Che sia puro talento o la proverbiale fortuna degli ormai non più giovincelli principianti non è ben chiaro, soprattutto dinnanzi a un prodotto così tanto progressista nella struttura quanto insolitamente conservatore nella sua moralina di fondo. Così smaccatamente pro-vita da non farsi alcun problema nello sbatterci in faccia il suo insegnamento antiabortista e la sua condanna a qual si voglia forma di esecuzione capitale nel mentre in cui l’Inferno, quello vero, inizia letteralmente a scatenarsi sotto ai nostri occhi.

Sta di fatto, comunque, che non tutti sarebbero oggi in grado di ficcare un rampante psichiatra (Jordan Belfi) e un mellifluo serial killer prossimo all’esecuzione (Sean Patrick Flanery) all’interno di un parlatorio, lasciandoli a disquisire di etica, metafisica e teologia per una buona oretta e mezza senza che il demone della noia, sornione e implacabile, inizi a impossessarsi dei poveri arrendevoli spettatori, al pari della non meglio precisata mefistofelica entità che il novello Jeffrey Dahmer afferma abbia preso dimora fissa nel suo maligno (e a breve ben fritto) cervellino. Dr. Martin ed Ewdard Wayne Brady: l’uno il Bene, l’altro il Male; l’uno la Ragione e l’altro la Fede. Il primo, cinico e sprezzante, chiamato a valutare la sanità o l’infermità mentale di un Dead Man Walking la cui sentenza appare sempre più in bilico. Il secondo, inquietante e manipolatorio, convinto invece di essere nientemeno che la personificazione del satanasso Nefarious , diabolico sgherro di Sua luciferina Malevolenza in persona, pronto a ingaggiare con il proprio clinico confessore una tesissima querelle retorica con cui dimostrare la bontà (o malignità) delle proprie affermazioni. Arrivando addirittura ad annunciare al suo incredulo avversario come, ben prima dell’evangelico triplice canto del gallo, la bellezza di tre omicidi verranno commessi proprio da quest’ultimo dentro e fuori le arrugginite sbarre dello stramaledetto penitenziario, senza che una sola gocciolina di acqua santa venga inutilmente versata o alcun poderoso crocifisso sbandierato ai quattro venti.

Ed è così che Nefarious finisce via via per trasmutarsi in qualcosa di non così ben definito, trascinando il suo destabilizzato co-protagonista in una progressiva crisi spirituale ancor prima che professionale. 



Due cose nella vita sono intrecciate indissolubilmente: la mente riflette il mondo, e il mondo riflette la mente.

 

Home Education | Rocco Fasano, Julia Ormond e una poderosa opera prima

Una famiglia, una forza demoniaca e una macabra scoperta. Ma com’è il film di Andrea Niada?

Fino a che punto si può spingere il delirio di una mente isolata, privata di qualsiasi contatto con il mondo reale? Rachel (Lydia Page) è un’adolescente cresciuta in una casa persa nei boschi della Sila, costruita secondo i principi di un culto di cui la famiglia è seguace. Alla morte del padre Philip, l’oppressiva madre Carol (Julia Ormond) costringe la figlia a vivere con il cadavere, priva di contatti con il mondo ad eccezione di alcuni brevi incursioni nel bosco circostante, nella convinzione che il corpo senza vita si rianimi. L’arrivo di Dan (Rocco Fasano), un ragazzo del luogo, muterà per sempre gli equilibri. Parte da qui Home Education – Le regole del male, opera prima e ampliamento dell’omonimo cortometraggio del 2016 di Andrea Niada.

Un horror di carattere Home Education, un high-concept ridotto all’osso: una location scarna, un cast piccolo e di livello, capitanato da una Ormond formidabile nella sua Carol dalla colorita dimensione caratteriale a metà tra il Jack Torrance di Shining e la Annie Wilkes di Misery non deve morire, ma soprattutto tante, tante idee e questa non è mai una cosa scontata (anzi). Quello di Niada è cinema esoterico di tensione e suggestioni ambientali che nel raccontare di un lutto impossibile da elaborare, viene avvolto di rivoltante puzza di morte, costruzioni d’immagine oniriche in putrefazione e jump-scare al ritmo di laceranti urla dall’oltretomba.

 Quindi (dis)equilibri familiari di dipendenza e manipolazione vecchi e nuovi da cui emerge il talento di una notevole Page, specie nel dialogare con il brillante Fasano, ribaltamenti di ruoli, e la percezione del male come profondamente radicato sin nelle fondamenta del contesto scenico. Un piccolo-ma-grande film Home Education, una gemma di cinema horror che rivela al mondo le idee e la poetica tutta in divenire di un giovane autore come Niada che non vediamo l’ora di scoprire.