A pensarci bene, le idee sono un po’ come la mamma: volente o nolente, tutti ne hanno una. Ve ne sono di grandi e di piccole, di belle e di brutte, di geniali o a dir poco imbarazzanti. A volte, però, alcune idee somigliano a tal punto alla Fede che, se ci si crede sino in fondo, riescono a fare autentici miracoli. Ed è un qualcosa, se non certo di miracoloso, quantomeno di sorprendente ciò che Chuck Konzelman e Cary Solomon sono riusciti a realizzare con questo piccolo e curioso Nefarious , tirando in piedi pressoché dal nulla e con risorse ridotte a ben meno che al proverbiale osso un insolito thriller decisamente poco para e marcatamente più psicologico, capace di prendere di petto un sotto genere ormai fiaccamente abusato come ilpossession movie e di buttarlo senza troppi complimenti dritto in lavatrice, centrifugandolo per benino sino a riportarlo, se non ai vecchi cari splendori, quanto meno a una fresca e corroborante dignità. Il tutto senza che alcuno sboccato insulto ultramondano alle altrui genitrici o fiotto di vomito multicolore giunga per una volta a imbrattare la bianca parete dello schermo. Che sia puro talento o la proverbiale fortuna degli ormai non più giovincelli principianti non è ben chiaro, soprattutto dinnanzi a un prodotto così tanto progressista nella struttura quanto insolitamente conservatore nella sua moralina di fondo. Così smaccatamente pro-vita da non farsi alcun problema nello sbatterci in faccia il suo insegnamento antiabortista e la sua condanna a qual si voglia forma di esecuzione capitale nel mentre in cui l’Inferno, quello vero, inizia letteralmente a scatenarsi sotto ai nostri occhi.
Sta di fatto, comunque, che non tutti sarebbero oggi in grado di ficcare un rampante psichiatra (Jordan Belfi) e un mellifluo serial killer prossimo all’esecuzione (Sean Patrick Flanery) all’interno di un parlatorio, lasciandoli a disquisire di etica, metafisica e teologia per una buona oretta e mezza senza che il demone della noia, sornione e implacabile, inizi a impossessarsi dei poveri arrendevoli spettatori, al pari della non meglio precisata mefistofelica entità che il novello Jeffrey Dahmer afferma abbia preso dimora fissa nel suo maligno (e a breve ben fritto) cervellino. Dr. Martin ed Ewdard Wayne Brady: l’uno il Bene, l’altro il Male; l’uno la Ragione e l’altro la Fede. Il primo, cinico e sprezzante, chiamato a valutare la sanità o l’infermità mentale di un Dead Man Walking la cui sentenza appare sempre più in bilico. Il secondo, inquietante e manipolatorio, convinto invece di essere nientemeno che la personificazione del satanasso Nefarious , diabolico sgherro di Sua luciferina Malevolenza in persona, pronto a ingaggiare con il proprio clinico confessore una tesissima querelle retorica con cui dimostrare la bontà (o malignità) delle proprie affermazioni. Arrivando addirittura ad annunciare al suo incredulo avversario come, ben prima dell’evangelico triplice canto del gallo, la bellezza di tre omicidi verranno commessi proprio da quest’ultimo dentro e fuori le arrugginite sbarre dello stramaledetto penitenziario, senza che una sola gocciolina di acqua santa venga inutilmente versata o alcun poderoso crocifisso sbandierato ai quattro venti.
Ed è così che Nefarious finisce via via per trasmutarsi in qualcosa di non così ben definito, trascinando il suo destabilizzato co-protagonista in una progressiva crisi spirituale ancor prima che professionale.