L’estate è decadente.
È un tempo sospeso tra una doccia e una sudata sul coppino.
In estate tutto rallenta per sopravvivere, cambia ritmo e si ritira nell’ombra, perché sotto il sole si brucia e muore. Tocca meriggiare in estate, sopportando le cicale chiacchierone e i grilli impertinenti. Coprirsi gli occhi e, sì, bere molta acqua sennò cosa si suda?
La verità è che la trovo assai volgare l’estate, con le ciabatte strascicate, gli aloni sotto le ascelle, pantaloncini ovunque, come in spiaggia.
La trovo sciatta col lino stazzonato che vorrebbe essere elegante, invece è solo trascurato.
Se dovessi scrivere un romanzo angosciante, lo ambienterei tra luglio e agosto e il morto ci scapperebbe verso le due del pomeriggio, col sole a picco, in quel silenzio posticcio interrotto sempre dal chiacchiericcio delle cicale.
Quel silenzio di solitudine, di una domenica di fine luglio, dove chi non è al mare a divertirsi, con la premura di far sapere al mondo, che è al mare e si sta divertendo, chiude gli scuri e si ritira nel buio, e nel silenzio interrotto dalle pale del ventilatore.
Perché in estate corre l’obbligo di divertirsi o di nascondersi, tra il buio e il silenzio affinché il mondo non sappia che non stai partecipando alla festa globale, almeno per metà dell’emisfero.
E così è anche faticosa, l’estate, tra obblighi vari, di abbronzatura e allegria, pancia piatta e dorsale guizzante.
Ma per fortuna poi torna l’autunno e con lui il riposo e la clemenza che la nebbia sa regalare.
E torna il silenzio, quello vero, umido e ovattato dei nebbioni della pianura padana.
Quello che non ti obbliga a niente se non a godere di un panorama magico e malinconico, accoccolato in una coperta di tranquillità .