A te, che hai scelto il silenzio anziché lo sforzo di farti capire.
Che hai preferito la calma alla vertigine, la solitudine alla confusione, la chiarezza alla speranza mal riposta.
Non è stata una chiusura.
È stata una direzione.
Hai imparato che l’amore — quello che valga la pena — non può essere un continuo tradursi, spiegarsi, correggersi.
E che il cuore non è una cosa da concedere ogni volta che qualcuno lo chiede con gentilezza apparente.
Così, hai smesso.
Non per cinismo, ma per rispetto.
Hai deciso che in questo tempo della vita, non amare è un modo per non dimenticarti di te.
C’è forza, in chi sa stare sola.
In chi non si scusa per il proprio silenzio, e non teme le sere senza voce al telefono.
Non chiudi, ma non insegui.
Nel frattempo, coltivi la tua pace.
Fai ordine nei pensieri.
Ti ascolti senza giudicarti.
E in tutto questo c’è bellezza .
Tua. Intatta. Indiscutibile.
non ti chiami fuori dalla vita, ma solo da ciò che non le assomiglia:
che il tuo spazio resti sacro.
E il tuo silenzio, una forma di musica.
Non ho più voglia di dovermi tradurre in un linguaggio che non mi somiglia.
Di diventare leggibile per chi non sa leggere, di farmi piccola per entrare nel riquadro di qualcun altro.
Non c’è rancore in questa distanza.
Solo quiete.
Una specie di spazio pulito, dove finalmente respiro.
Ho imparato che non tutto quello che scalda è casa, che non tutto quello che vibra è vero.
Che a volte, stare bene con sé stessi non è un attimo tra due relazioni, ma un luogo dove si resta — perché ci si sta bene.
Non mi mancano i messaggi, le attenzioni, le mani intrecciate per strada.
Mi manca, a volte, una conversazione vera.
Ma non abbastanza da tornare a cercarla dove non c’è.
Questa assenza non mi pesa. Mi definisce.
È uno spazio che ho costruito io, con pazienza.
Non c’è rumore, non c’è attesa.
E, per la prima volta, non c’è sforzo.
Se l’amore tornerà, che arrivi come un’eco che non disturba.
Che non chieda permesso, ma che sappia dove sedersi.
Che non abbia fretta.
Nel frattempo, io resto qui.
Intera.