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sabato 22 dicembre 2018
martedì 18 dicembre 2018
domenica 16 dicembre 2018
"Voglio per forza un figlio fenomeno"
Il caso Agassi ha fatto letteratura: il suo best seller Open ha alzato un velo.
Lui però almeno è diventato Agassi. Uno su quanti?
Non sorridono mai. Si allenano fino a sedici ore alla settimana, in quarta o quinta elementare, per quella partita del weekend. E se sbagliano un colpo, spesso vedrete questi Federer e Sharapova miniaturizzati guardare subito papà o mamma. Seduti su quelle tribune dove tanti genitori fanno molto più spavento di loro. "La mia squadra ideale è una squadra di orfani" è la vecchia battuta che gira tra allenatori. Un paradosso, ovviamente.
Ma la normalità che non fa più notizia è fatta di risse a bordocampo alle partite dei ragazzini, arbitri insultati e aggrediti, allenatori contestati. Ogni maledetta domenica, e il sabato pure. Qualsiasi istruttore giovanile, di qualsiasi sport, sa che una parte importante e difficile del suo lavoro è "allenare" i genitori.
La linea di campo tra gioco e stress per il bambino è sottile, quanto quella tra il buon genitore che si limita a far capire l'importanza formativa della disciplina e dell'impegno e quello che invece invade, soffoca, s'arrabbia, giustifica, pretende.
La linea di campo tra gioco e stress per il bambino è sottile, quanto quella tra il buon genitore che si limita a far capire l'importanza formativa della disciplina e dell'impegno e quello che invece invade, soffoca, s'arrabbia, giustifica, pretende.
"I genitori più pericolosi e invadenti sono quelli che non si sentono realizzati e hanno meno cose da fare nella vita" sostiene Isabella Gasperini, psicoterapeuta dell'età evolutiva che collabora con varie squadre di calcio. "E in dieci anni la situazione è peggiorata di pari passo con l'aberrazione del calcio professionistico. Senti questi genitori parlare delle partite dei figli come se fosse serie A: la tattica, il mister... Purtroppo avvertire che questi comportamenti fanno solo danni è inutile: sono meccanismi involontari. Quello che cerco di far capire è che i bisogni dei bambini sono diversi dai loro. I bambini accettano l'errore e il fatto che un altro sia più bravo come una cosa naturale, e invece li vedi costretti a impegnarsi per realizzare i sogni dei genitori dietro la rete secondo un loro tacito e insano accordo. Vanno invece lasciati liberi: di sbagliare, di creare, di calciare come gli viene, di sdraiarsi a guardare il cielo se non hanno voglia di correre, di seguire l'istinto. Liberi anche di assumere le proprie responsabilità e di cavarsela da soli, se un compagno gli ha messo le scarpette sotto la doccia ".
La mala educación tocca l'apoteosi intorno al campo da calcio, dove rispetto ad altri sport il miraggio di ricchezza è più abbacinante. "Quando i genitori vedono il bambino solo come una possibile fonte di guadagno, è finita - dice Devis Mangia, ex ct dell'Under 21 - . Tutti pensano di avere il campione in casa. Quando un ragazzino si comporta male costa meno fatica etichettarlo come piantagrane. Ma, al contrario di quanto si possa credere, non è detto che subisca maggiori pressioni chi viene da contesti culturali e sociali inferiori, dove un contratto da professionista potrebbe rappresentare una svolta per tutta la famiglia". Lo conferma anche Roberto Meneschincheri, responsabile dell'attività agonistica under 16 dello storico Tennis Club Parioli di Roma, il circolo che ha sfornato Pietrangeli, Panatta e Barazzutti: ultimo titolo vinto, il campionato italiano under 12 femminile. "È questione di istinto e carattere, non di denaro o laurea: i genitori troppo pressanti che chiedono ai figli solo il risultato sono molto diffusi. Col dialogo di solito si riesce a ottenere collaborazione, a far capire che non va data troppa importanza alla partita" .
Molte società fissano un decalogo dell'ovvio. Sdrammatizzate, incoraggiate, esaltate i risultati positivi e alleggerite le sconfitte, non entrate in campo e negli spogliatoi, lasciate che la borsa se la portino da soli, non discutete con l'allenatore di schemi e ruoli, rispettate gli arbitri, non parlate male al ragazzo del suo allenatore e dei suoi compagni. Eccetera. Ma Isidori non assolve nemmeno le società: "Dicono pensate a divertirvi ma il messaggio che di fatto viene trasmesso implicitamente dal sistema è un altro: conta solo vincere. Accade perché è completamente sbagliato il modello del Coni: le federazioni per avere soldi devono portare risultati. In Italia manca educazione sportiva perché non esiste lo sport per tutti: gratuito".
"Purtroppo molti genitori provocano la cosiddetta "sindrome da campione": il ragazzo viene sopravvalutato, si sente già arrivato e si blocca il processo di crescita. Considera che sia tutto scontato e dovuto, pensa solo che gli basti far passare il tempo e andrà nella Nba. È come se entrasse in una realtà virtuale e non considera più l'opzione dell'insuccesso: se arriva una sconfitta la vive come un fattore imprevedibile, non trova una via d'uscita, resta disarmato perché è stato programmato per vincere. Ed è difficile a quel punto farsi ascoltare. Perché è più comodo dar retta a chi ti regala un alibi dando la colpa a un altro: all'ambiente, al tecnico, ai compagni, agli arbitri. Il talento non basta per diventare giocatori".
Cara amica mia,
ti penso oggi con più intensità. Non che abbia mai smesso, mai di pensare alla tua gioia semplice di vivere, alla tua, a volte, goffa timidezza , alla tua grande determinazione nelle gioie e nei dolori. Né ho mai smesso di pensare alle persone che risero di te , a quelle che ti dissero quanto eri stata "cattiva e malafemmina" ad avventurarti per le strade del tuo cuore, nè ho mai smesso di pensare al tuo sorriso buono e contagioso, al tuo desiderio di sentire e capire il perché di tanta cattiveria. Amica mia , non c'e' un perché, come non c'e' un perché al grande dolore di averti perso.
Standoti vicino si sentiva la luce del tuo grande amore: amore per il tuo uomo, amore per noi, amore per i tuo gioielli lontani, amore per la tua casa, un nido di felicita' dove mi sono sempre sentita in un amorevole ,quasi astratto contatto. Eri in quella solitudine d'attesa in cui si e' sempre con il cuore proteso, sapevi chi aspettare, ed eri felice di farlo.
Un po' ti invidio,amica dolce. Invidio questa tua vita piena di aspettative ordinarie e straordinarie racchiuse in una cena preparata con cura, a volte sbuffando in un modo cosi' strano che non ti credevo nemmeno io. .. La felicità di una cena fuori, la solitudine , e poi di nuovo la felicità .
Ti ho visto cosi' tante volte che tu non puoi nemmeno immaginare, ti sono stata vicino anche dopo,con grande confusione anche io, con grande disorientamento. Ma se il viaggio fino in fondo e' questo vorrò farlo come te, con la tua stessa luce negli occhi e spero mi accompagnerai sollevandomi dalle paure, come abbiamo sempre fatto.
francesca
Standoti vicino si sentiva la luce del tuo grande amore: amore per il tuo uomo, amore per noi, amore per i tuo gioielli lontani, amore per la tua casa, un nido di felicita' dove mi sono sempre sentita in un amorevole ,quasi astratto contatto. Eri in quella solitudine d'attesa in cui si e' sempre con il cuore proteso, sapevi chi aspettare, ed eri felice di farlo.
Un po' ti invidio,amica dolce. Invidio questa tua vita piena di aspettative ordinarie e straordinarie racchiuse in una cena preparata con cura, a volte sbuffando in un modo cosi' strano che non ti credevo nemmeno io. .. La felicità di una cena fuori, la solitudine , e poi di nuovo la felicità .
Ti ho visto cosi' tante volte che tu non puoi nemmeno immaginare, ti sono stata vicino anche dopo,con grande confusione anche io, con grande disorientamento. Ma se il viaggio fino in fondo e' questo vorrò farlo come te, con la tua stessa luce negli occhi e spero mi accompagnerai sollevandomi dalle paure, come abbiamo sempre fatto.
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