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giovedì 24 aprile 2025

Una luce che non chiede il permesso

 

Non perché sia perfetta. Non perché io abbia tutte le risposte.
Anzi, la mia fede è spesso un inciampo, una domanda aperta, una lotta silenziosa. Ma è mia. E c’è.

E forse, proprio per questo, a volte la sento osservata con una strana miscela di curiosità, sospetto… e, sì, un filo di invidia.
Perché chi crede, davvero, anche quando vacilla, ha qualcosa che non si compra, non si simula, non si spiega: ha radici.

In un mondo dove tutto è liquido, chi ha fede sembra solido.
Non rigido, ma saldo.
Non arrogante, ma abitato da una Presenza.
E questo, a chi vive costantemente in superficie, può sembrare irritante.

La fede non è superiorità. Non è ricetta per la felicità.
Ma è una luce che, anche nel buio, sai dove cercare.
E sì, può far male a chi quella luce non riesce (o non vuole) più vederla.

Ma non è competizione.
La fede vera non divide, non si impone, non è trofeo.
È un dono. E come ogni dono, è libero.
Può essere accolto, può essere rifiutato… ma non può essere invidiato senza prima essere desiderato.

 Quindi se la mia fede suscita qualcosa in te, che sia domanda, rabbia o persino invidia — accoglila. È già un inizio. È già dialogo. È già sete.



Buon viaggio, Padre Francesco.

 Ti congedi, forse solo per un tratto, ma il tuo passo resta inciso nel solco del tempo.

Hai parlato con il Vangelo nelle mani e le scarpe impolverate,
hai stretto mani tremanti, guardato negli occhi i dimenticati,
e ci hai ricordato che la fede non è rifugio, ma incontro.

Ci lasci parole che non pesano come pietre,
ma come semi: attecchiranno nei cuori che hanno saputo ascoltare.

Hai portato sulla spalla le fragilità della Chiesa come un pastore porta la pecora ferita: senza clamore, con amore.
Non hai voluto essere icona, ma fratello. E proprio così sei diventato guida.

Ora vai, se è tempo di andare.
Che il vento dello Spirito ti accompagni,
che la Luce ti preceda,
e che la pace ti abiti,
come tu hai cercato di abitare il dolore del mondo con misericordia.

Con amore, nel silenzio e nella preghiera.
Buon viaggio, Papa Francesco.




da chi ha imparato qualcosa anche solo ascoltandoti in silenzio.

25 APRILE – CI SIAMO DAVVERO LIBERATI?

 Oggi si festeggia la Liberazione. Grigliate, bandiere, post commemorativi con la foto in bianco e nero del nonno partigiano che magari voterebbe gente molto diversa oggi. Tutto bello. Emozionante. Patriottico.

Ma a un certo punto, tra una salamella e un "Bella Ciao" cantata stonata, qualcuno dovrebbe chiedersi:

Ci siamo davvero liberati?

Perché a guardarci bene, sembriamo più un popolo liberato dal pensiero critico che dal fascismo. Siamo passati dal "credere, obbedire, combattere" al "comprare, scrollare, lamentarsi".

Il fascismo? Non è sparito. Ha solo cambiato outfit: adesso indossa giacca e cravatta, parla di "merito", "tradizione", "decoro urbano", e ogni tanto si commuove davanti a una targa in piazza, prima di firmare una legge contro chi protesta davvero.

E noi? Noi applaudiamo. O peggio: ci indigniamo 5 minuti su Twitter e poi torniamo a discutere di MasterChef. Siamo così liberi che ogni giorno ci facciamo raccontare la realtà da un algoritmo, ci indigniamo su comando, e votiamo chi ci dice che l’antifascismo è roba da vecchi.

 Il 25 aprile è diventato una specie di Natale laico: pieno di buoni sentimenti, zero senso critico, e con l’immancabile zio che dice "però anche i partigiani hanno fatto cose brutte".  È una Liberazione da teatro. Ma fuori scena, l’applauso è per chi mette in discussione la Resistenza, non per chi la porta avanti.

La verità? Forse non ci siamo mai liberati del tutto. Abbiamo solo chiuso il fascismo in cantina… e gli abbiamo lasciato la chiave sotto lo zerbino.

E noi? Noi postiamo la foto del partigiano con l’hashtag giusto, poi ci sediamo comodi a guardare Netflix, convinti che la libertà sia scontata, garantita, permanente.

Abbiamo sostituito la libertà con il consumo. La resistenza con la rassegnazione. L'impegno politico con l'indifferenza digitale. Siamo liberi, sì — ma di scegliere tra due offerte su Amazon.

Il 25 aprile dovrebbe essere una giornata di riflessione attiva, non una cartolina ingiallita. E la domanda vera non è se siamo liberi oggi, ma se abbiamo ancora voglia di lottare per esserlo domani. Perché la libertà non è un dono: è un processo. E la liberazione, se non diventa cultura condivisa e vigilanza costante, si trasforma in mito stanco, facilmente strumentalizzabile.

Quindi sì, celebriamo. Ma con gli occhi aperti.

VVB Francesca