Benvenuti

Benvenuti

lunedì 22 dicembre 2025

Appunti dal dopo

 C’è un momento, prima di addormentarsi, in cui la casa smette di fare rumore. Non perché sia silenziosa, ma perché smettiamo di ascoltarla. È lì che tornano le cose che abbiamo lasciato indietro. Non bussano. Si siedono accanto al letto come se avessero sempre avuto il diritto di farlo.

Io, in quel momento, penso alle versioni di me che non sono mai diventata. Le vedo chiaramente: quella che ha avuto il coraggio di restare, quella che ha saputo andarsene prima, quella che ha detto “ti amo” senza paura di sembrare ridicola, quella che ha taciuto per non ferire. Sono tutte vive, da qualche parte. Io no. Io sono quella che è sopravvissuta scegliendo male abbastanza volte da diventare reale.

Ci insegnano che il tempo cura, ma nessuno ci dice che il tempo, a volte, allunga solo l’ombra

 Alcune ferite non vogliono guarire: vogliono essere ricordate. Come una stanza chiusa a chiave in una casa in cui continuiamo ad abitare. Passiamo davanti alla porta ogni giorno fingendo che non esista, ma sappiamo esattamente cosa c’è dentro. Il profumo di qualcosa che non torna. Una frase detta a metà. Una promessa fatta senza capire il peso delle parole.

Il vero spaccacuore non è perdere qualcuno. È accorgersi di chi si è diventati dopo. È guardarsi allo specchio e riconoscere il volto, ma non più lo sguardo. È scoprire che sai stare da sola, sì, ma non come avevi immaginato: non forte, non libera, solo… abituata.

Ho amato persone che non erano pronte e ho fatto finta di non vederlo. Ho lasciato andare chi forse lo era, per paura di dover essere all’altezza. Ho confuso l’intensità con l’amore, la mancanza con il desiderio, il dolore con la profondità. E ogni volta mi dicevo: “Questa volta è diversa”. Non lo era. E forse nemmeno io.

C’è una stanchezza che non viene dal fare troppo, ma dal sentire troppo.

Una stanchezza che ti rende gentile solo in superficie . Continui a funzionare: lavori, rispondi ai messaggi, ridi nei momenti giusti. Ma dentro c’è una stanza spoglia, e al centro una sedia vuota. Su quella sedia si siedono i “se solo”. Se solo fossi stata meno me stessa o, forse, di più.

Scrivo questo non per trovare risposte, ma per fare spazio. Perché il dolore ignorato marcisce, mentre quello raccontato respira. E se anche solo una persona, leggendo, sentirà quel piccolo clic nello stomaco — quello che dice “non sono solo” — allora ne sarà valsa la pena.

Non prometto guarigione. Prometto sincerità. Prometto che si può andare avanti anche portando dentro nomi che non pronunciamo più. Prometto che la fragilità non è una colpa.

E se stasera, nel silenzio prima del sonno, qualcosa verrà a sedersi accanto a te, non scacciarlo subito. Ascoltalo. Forse non è lì per farti male. Forse è lì per ricordarti che, nonostante tutto, hai amato. E questo, anche quando fa male, è l’unica cosa che nessuna perdita può portarti via.




Nessun commento:

Posta un commento