Sono forse le parole piu' antiche di Leopardi giunte fino a noi(aveva otto anni). E il loro acuto candore,adombrato di malinconia,ci par di ritrovare in quel volto che il poeta stesso ricordo' in alcuni frammenti.
"La mia faccia aveva,quand'io ero fanciullo ed ancora piu' tardi,un non so che di sospiroso e di serio che essendo senza nessuna affettazione di malinconia,le dava grazia.......".
In quel tempo la bellezza fisica non era ancora divenuta ossessione segreta,ma gia' brillava in quei fantasmi che sogliono visitare un bambino precoce d'animo e di sensi.
Forse i conoscitori di Weininger o di Freud esigerebbero qualche parola sull'ingenuita' di Leopardi :
per esempio,sulla sua sua misoginia di amante unilaterale; o magari su quel suo modo di arrossire,allorche',accadendogli di toccare certi argomenti,ricorre all'idioma del Manuale,per esprimere il disprezzo per gli uomini libidinosi.
Quante penombre in questa ingenuita' e con che sottile dolore si svelano a chi legge i suoi chiarori sensuali.
Leopardi resta per me sempre atteggiato in un assorto e tremendo soliloquio.La sua teoria e la sua esperienza erotica hanno un suggello di castita' che soltanto discuterne sarebbe sconveniente ed oltraggioso.
E nel mio.come nel suo cuore palpita una fedele certezza,che soltanto l'amore converte il nulla nell'infinito,ma chi non ha conosciuto l'orrore del nulla in quel "desiderio puro della felicita'"che e' la noia,non conoscera' mai
l'amore e non sara' mai vissuto.
Questa e' una delle sue composizioni piu' drammatiche,ma la disperazione non e' nel disprezzo della vita,dell'amore,al contrario sta nel desiderio spasmodico ,nella rabbia e mai nella rassegnazione,fino alla sua fine,di non poter vivere entrambi.
Quant'ardore e quanta passione in quel ritrovarsi solo,folgorato,ed internarsi nel cuore del proprio cuore in un documento psicologico meraviglioso.
"A SE STESSO"
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