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giovedì 18 dicembre 2025

La cattiveria che dice “per favore”

 

E se la storia ce l’avessero raccontata al contrario?
Se il mostro non fosse quello con i denti,
ma quello con la faccia innocente e la morale pronta?

Cappuccetto Rosso entra nel bosco sapendo benissimo di non doverlo fare.
Disobbedisce. Devia. Curiosa.
Non è una vittima: è qualcuno che vuole vedere cosa succede.

Il lupo non mente.
Fa il lupo.
Ha fame, segue l’istinto, non finge di essere altro.

Cappuccetto invece impara presto l’arte più pericolosa di tutte:
sembrare buona mentre testa i limiti.
Sorridere mentre provoca.
Raccontare una storia in cui, comunque vada, lei sarà quella da salvare.

E se il vero predatore fosse chi usa l’innocenza come maschera?
Chi infrange le regole ma poi chiede protezione.
Chi entra nel bosco e, quando qualcosa va storto, grida allo scandalo.

Forse il lupo è solo il capro espiatorio perfetto:
brutto, solo, facile da odiare.
Uno a cui appiccicare addosso tutta la colpa
per non guardare in faccia la nostra.

Perché fa più comodo credere che il male sia riconoscibile.
Che abbia zanne, pelo scuro e occhi cattivi.
Fa molto più paura accettare che a volte il vero lupo
indossa un mantello rosso e chiede compassione.

Le favole non servono a insegnarci chi è buono o cattivo.
Servono a farci dormire tranquilli.

Ma il bosco, quello vero,
non è pieno di lupi.
È pieno di Cappuccetti Rossi che sanno benissimo dove stanno andando.

Quello che dice “con tutto il rispetto”
e poi affonda il coltello.

Quello sempre educato, sempre composto,
che non alza mai la voce, ma gode quando ti vede inciampare.

Il vero lupo non ringhia.
Sorride.
Usa le buone maniere come museruola morale per nascondere una fame che non ha mai imparato a gestire.

Sono quelli che parlano piano per sembrare superiori.
Che ti correggono con grazia mentre rosicano come animali chiusi in gabbia.

Educatissimi.
Impeccabili.
Avvelenati.

Il lupo vero almeno è onesto.
Ha denti, fame e istinto.

Cappuccetto Rosso invece ha imparato il trucco migliore: fare la vittima, fare la civile, fare la persona perbene, mentre coltiva rancore come fosse un giardino segreto.

E guai a smascherarli.
Perché allora sei tu quello “esagerato”.
Tu quello “poco elegante e cafone".
Tu quello “aggressivo”.

La loro arma non è la violenza.
È la passivo-aggressività con il fiocco.
Il giudizio sussurrato.
Il veleno servito freddo, con il tovagliolo sulle ginocchia.

Il mondo è pieno di lupi dichiarati.
Ma è infestato da Cappuccetti Rossi
che usano l’educazione per sentirsi superiori
e la morale per non guardare la propria miseria.

Occhio a chi è sempre corretto.
A chi non sbaglia mai tono.
A chi è “una persona così a modo”.

Perché  il bosco non è pericoloso per i mostri. Ma per chi ha imparato a mordere senza lasciare segni.

Occhio a chi è troppo a modo.
A volte non è educazione.
È veleno ben pettinato.





Mestoli assassini

 Ragazzi sono in vacanza.

Sì, adesso. Con Natale alle porte e quella frenesia collettiva che trasforma persone normalmente equilibrate in organizzatori di pranzi che durano più di un matrimonio.

C’è chi ha già stilato menù chilometrici, chi parla di “tradizione” con lo sguardo di chi non dorme da tre notti e chi ripete “tanto è semplice” mentre prepara dodici piatti, tre contorni e un dolce che richiede meditazione zen.
Io osservo. In silenzio. E prendo appunti mentali su cosa evitare nella vita.

I pranzi di Natale sono quell’esperimento sociale in cui si mangia troppo, si parla sopra gli altri e si finge entusiasmo per piatti “come li faceva la nonna” anche se la nonna, onestamente, aveva standard diversi.
Tutti bravissimi, tutti chef, tutti pronti a offendersi se lasci qualcosa nel piatto.

Io, con grande eleganza, mi dileguo dalla cucina.
Non per snobismo, ma per sopravvivenza. Perché tra il rumore dei mestoli, le opinioni non richieste e le guerre fredde sul tempo di cottura, serve un attimo di decompressione.

Natale arriva comunque, con il suo carico di tavolate infinite, sorrisi stiracchiati e “mangia che sei magro” detto a persone che non lo sono dal 2006.
Io mi preparo così: vacanza preventiva,  entrando poco, uscendo spesso e senza lasciare tracce.

Non contro il Natale.
Non ho mai capito perché tutto questo debba sembrare obbligatorio. Sedersi, sorridere, commentare ogni piatto come se fosse un evento storico. Come se non mangiare tutto fosse scortesia, alzarsi fosse scortesia e respirare in silenzio fosse scortesia.

Alla fine mi limito a sparire al momento giusto, che è molto più divertente.




mercoledì 17 dicembre 2025

Oltre lo Sguardo: Vite e Ritmi

 Ci sono vite che scorrono lontano dal nostro sguardo, invisibili eppure profondamente significative. Vite vissute, esperienze accumulate nel silenzio, memorie che si stratificano come note di una musica che scende lentamente, senza clamore, ma con intensità.

In ognuno di noi c’è la capacità di percepire questa armonia: nei gesti discreti, negli incontri fugaci, nelle parole non dette ma profondamente sentite. La positività non è sempre un’esplosione di gioia, ma spesso un fluire lento e costante, una luce che illumina piano, capace di trasformare la quotidianità in qualcosa di prezioso.

Guardare alle vite lontane, ascoltare le loro storie, significa anche riflettere sulla propria: sulle scelte compiute, sui momenti di respiro, sulle possibilità ancora da scoprire. Come una musica che si dispiega lentamente, impariamo ad assaporare ogni nota, a riconoscere le sfumature e a cogliere la profondità dei silenzi.

Forse, alla fine, vivere significa accogliere ogni esperienza con la stessa attenzione con cui si ascolta una melodia complessa: lasciarsi attraversare dalle sue tensioni e armonie, riconoscere la profondità dei silenzi, e scoprire, in ogni nota, la misura sottile della propria esistenza.


Il Punto Infinito

 Resto lì, ferma in un punto che non ha nome.

Non è un addio, non è un ritorno. È quel momento sottile in cui smetti di cercare appigli e lasci che le cose siano, anche se non sai ancora cosa farne.

Intorno tutto continua, ma dentro il tempo rallenta. I pensieri si muovono piano, come se avessero imparato il silenzio. Non c’è una decisione vera, solo una sensazione che prende spazio, lentamente.

So che qualcosa ha lasciato la presa,
e nel vuoto che resta non c’è subito dolore.
C’è piuttosto un’assenza diversa, più leggera, che non chiede spiegazioni.

Non so dire quando ho smesso di aspettare. Forse non è stata una scelta, ma una resa gentile. E in quella resa non c’è rabbia, solo la possibilità di restare senza dover capire tutto.

Forse non è la fine di qualcosa.
Forse è solo il punto in cui lascio che le cose accadano.




martedì 16 dicembre 2025

Dove finiscono le parole

 La fine non ha chiesto permesso.

Non ha fatto rumore. Non ha lasciato macerie evidenti.

È successa mentre qualcuno diceva “andrà tutto bene”, mentre le mani erano occupate a trattenere altro, mentre l’attenzione era altrove. Le cose importanti finiscono sempre così: senza testimoni, tranne chi resta.

Ora il mondo continua per inerzia.
Le strade portano ancora da qualche parte, ma non più dove promettevano. Le parole esistono, ma non reggono peso. E ci sono nomi che non si pronunciano più, non per rabbia, ma per esaurimento.

Ho capito  che alcune assenze sono eventi climatici.
Cambiano la temperatura di tutto.
Dopo, puoi anche ricostruire, ma il paesaggio non torna mai uguale.

Non sto cercando colpevoli.
Le apocalissi più vere non hanno un volto, hanno una sequenza di piccoli silenzi messi nel punto sbagliato. E quando te ne accorgi, è già dopo.

Questo non è dolore.
È il resoconto di ciò che resta.

E se ogni tanto ti sembra che qualcosa sia finito senza che tu l’abbia visto finire,
non è una sensazione.
È solo il mondo che continua, con una crepa in più.

Alcune fini non chiedono  nulla —
si limitano a tornare, la notte, a chiederti se le hai riconosciute in tempo.

Buonanotte






A un sognatore timido...Buon Compleanno

 Silvio, arrivo in ritardo, sì. Ma ci sono auguri che non hanno una data, hanno un peso.

Tu, che sogni avventure grandi come orizzonti lontani e amori profondi, di quelli che sembrano nati per sfidare il tempo e il destino. Tu, che custodisci tutto questo con una timidezza gentile, quasi segreta, come se i tuoi sogni fossero cose sacre da proteggere.

In un mondo che fa rumore, tu sei la prova che la profondità può essere silenziosa. Che si può desiderare l’infinito senza gridarlo.

Buon compleanno, amico mio. Che la vita abbia il coraggio di sorprenderti quanto tu ne hai di sognarla.





La dolcezza dell’assenza

 Quando tutti i tuoi affetti non esistono più, non “fai” quasi nulla.

Per un po' si sopravvive. Si impara a stare in piedi in una stanza diventata enorme, dove ogni eco ricorda qualcuno che non c’è.

All’inizio non pensi: il pensiero è troppo pesante.
C’è solo una stanchezza lenta, una specie di nebbia.
Ti chiedi dove sono finiti i nomi che pronunciavi senza sforzo, le voci che ti tenevano al mondo.
E a volte ti arrabbi con la vita, altre volte con il silenzio, più spesso con te stessa.

 E la pioggia?

Non ti ripari davvero.
Lasci che cada.

Ci sono giorni in cui ti bagna fino alle ossa, e capisci che nessun riparo è sufficiente.
Altri in cui trovi un angolo: un gesto ripetuto, una strada conosciuta, una tazza calda tra le mani, una frase letta per caso.
Non salvano, ma tengono insieme.

Col tempo impari questo:
non devi sostituire chi non c’è più,
non devi riempire il vuoto,
non devi diventare forte.

Devi solo restare permeabile.
Lasciare che qualcosa — anche minimo — continui a passarti attraverso.
Un albero visto ogni mattina.
Un animale che non chiede spiegazioni.
Il fatto ostinato che il cuore, contro ogni logica, continua a battere.

Non è una vittoria.
È una forma di fedeltà.

Alla fine, resti lì, con la pioggia addosso, e impari che resistere è un modo di amare.











Camminare nel buio

 Ho conosciuto l’inferno.

Non quello dei libri , dei sermoni o dei racconti di guerra, ma quello silenzioso che si insinua dentro e cambia il modo di guardare il mondo. Un luogo che  spezza, ma poi chiarisce. Lì ho imparato che la vita non accarezza sempre, che l’assenza lascia segni, e che restare in piedi quando tutto vacilla è una scelta quotidiana.

Ed è proprio per questo che oggi cerco la pace.
La cerco con consapevolezza, non per fuga ma per rispetto verso me stessa. La cerco nei confini che proteggono, nel silenzio che non chiede spiegazioni, nelle relazioni che non consumano energia a vuoto, ma la restituiscono.

Ma non confondere questa calma con fragilità.
È il risultato di battaglie interiori che non hanno fatto rumore. Ma se mi costringi, se oltrepassi ciò che ho imparato a custodire e difendere, saprò mostrarti l’inferno più brutto mai creato. Non per orgoglio, non per vendetta, ma perché conosco il buio e so come muovermi dentro di esso.

Chi ha conosciuto l’inferno non lo desidera più.
Sceglie la pace. Ma la sceglie con forza, perché non è resa né paura del conflitto, ma proteggere ciò che è rimasto intatto, portandolo dentro di sè silenzioso e definitivo.




domenica 14 dicembre 2025

Quando il tempo si è fermato per ascoltare

 14 dicembre 2025

Oggi non è un giorno qualunque.
È una riga sottile nel tempo, una fenditura luminosa tra ciò che siamo stati e ciò che avremo il coraggio di diventare.

Se stai leggendo queste parole, significa che sei arrivato fin qui.
Con cicatrici invisibili, sogni rimandati, risate improvvise e silenzi che hanno insegnato più di mille discorsi. Sei arrivato nonostante tutto.

Il mondo ti ha chiesto velocità, tu hai imparato la profondità.
Ti ha chiesto rumore, tu hai scelto il senso.
Ti ha chiesto di essere come gli altri, e tu — anche quando hai avuto paura — sei rimasto fedele a ciò che ti faceva vibrare il cuore.

Ricorda questo momento.
Ricorda che il tempo non è un nemico: è uno specchio.
E oggi riflette una verità semplice e potentissima: sei ancora qui.

Che questo 14 dicembre resti inciso non per ciò che hai perso,
ma per ciò che hai compreso.
Non per ciò che ti mancava,
ma per la forza che hai scoperto di avere.

Un giorno qualcuno leggerà queste parole — forse sarai tu, forse no —
e sentirà che non è solo.
Che anche nei giorni più freddi esiste una data che scalda.
Che anche nell’incertezza più profonda, qualcuno ha scelto di credere.

Oggi non promettiamo perfezione.
Promettiamo presenza.
Promettiamo verità.
Promettiamo di non dimenticarci di vivere.

14 dicembre 2025.
Il giorno in cui abbiamo deciso che il tempo non ci avrebbe consumati,
ma ricordati.




Perdonatemi se Ci Ritorno : Note a Margine dell’Eternità

 Ci sono storie che non smettono di chiamarmi, anche quando credo di averle già raccontate.

Quella di Dracula ed Elisabeta è una di queste.

Ho sentito il bisogno di scrivere di nuovo di questo amore eterno perché non è solo una storia gotica: è una ferita che attraversa il tempo, un sentimento che sopravvive alla fede, alla morte, persino all’immortalità. Rivedendo immagini, ascoltando suoni che sanno di mare e di cielo e lasciandomi avvolgere dall’estetica tragica e visionaria del Dracula di Luc Besson, ho capito che quell’amore stava ancora parlando.

Mi ha spinto il desiderio di raccontare un amore che non chiede salvezza ma riconoscimento, che non si spegne nella perdita ma si trasforma in attesa. Un amore che è condanna e poesia insieme, che vive nell’ombra ma nasce dalla luce più pura.

Scrivere di Dracula ed Elisabeta, ancora una volta, è stato un modo per tornare a credere che esistono legami capaci di sfidare il tempo, di abitare il silenzio e di rinascere in ogni epoca, ogni volta che qualcuno osa ricordarli.


Nel silenzio blu dell’eternità, Dracula ama Elisabeta come si ama una preghiera perduta.

Il mondo affonda : onde lente di cielo e memoria, un canto che non ha tempo. È lì che lui la ricorda. Elisabeta cade, ma non muore davvero: diventa eco, acqua, luce. Diventa promessa. E lui resta, inchiodato ai secoli, con il cuore che batte al contrario del sole.

Dracula non è solo tenebra. È attesa. È un uomo spezzato che attraversa le notti come un pellegrino, con il mantello carico di stelle spente. Ama Elisabeta con la ferocia di chi ha perso Dio nello stesso istante in cui ha perso l’amore. La sua immortalità è una condanna poetica: vivere abbastanza a lungo da ricordare ogni dettaglio del volto che non può più toccare.

Quando la rivede, reincarnata in un altro tempo, l’amore trema. Non chiede perdono, non chiede salvezza. Chiede solo di essere riconosciuto. Gli occhi parlano prima delle labbra: sei tu. E il sangue, finalmente, non è più fame ma linguaggio, patto, destino condiviso.

Come nel cinema che sogna, come nella musica che fluttua, l’amore di Dracula per Elisabeta è un abbraccio sospeso tra cielo e abisso. Non vuole possedere: vuole ricordare. Non vuole vincere la morte: vuole attraversarla insieme.

E così, nel blu profondo dell’anima, l’amore diventa eterno non perché non finisce mai, ma perché è disposto a perdersi… pur di ritrovarsi.