Ogni mattina ci svegliamo e facciamo fatica a comprendere che per milioni di persone, in paesi lontani, il suolo sotto i loro piedi non è stabilità, ma instabilità. Il mondo sta affrontando uno dei momenti più bui della sua storia recente: conflitti che infuriano, aiuti che diminuiscono e una crisi climatica che non fa sconti.
Prendiamo ad esempio il Sudan. Oggi, metà della sua popolazione , circa 25 milioni di persone , è minacciata da una carestia estrema. Intere comunità sono private del cibo, dell’assistenza sanitaria, e vivono sotto l’assedio della guerra. Non è solo guerra: è una fame deliberata, una strategia usata come arma contro i più vulnerabili .
Oppure guardiamo a Gaza, dove la fame avanza e le narrazioni cominciano finalmente a cambiare, anche in Israele. Le immagini hanno forzato una riflessione collettiva: una crisi che da negata, sta diventando inevitabile da affrontare.
Ma c’è anche la Terra che soffre: Tuvalu, un piccolo stato insulare del Pacifico, sta compiendo la prima migrazione pianificata dell’intera popolazione a causa dell’innalzamento dei mari. Un gesto che dovrebbe scuoterci, perché è un campanello d’allarme per il pianeta intero.
Siamo davanti a tre storie diverse, ma unite dallo stesso filo sottile: la fragilità della nostra specie. La dignità della vita, la sacralità dell’abitare, la necessità dell’aiuto non sono optional: sono diritti universali. Quando lo Stato sociale trema e le risorse scarseggiano, emerge la domanda più urgente che possiamo porre a noi stessi: che mondo stiamo costruendo?
Tre esempi che tratteggiano un quadro doloroso, ma indispensabile da raccontare, perché il primo passo verso il cambiamento è vedere la realtà con cuore e con occhi aperti.
This country begins the world’s first planned migration of a ..
Mãe palestina Amira Muteir com bebê de 5 meses Ammar na Cidade de Gaza 5/8/2025 REUTERS/Mahmoud Issa Purchase Licensing Rights
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