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sabato 9 agosto 2025

“La spiaggia” di Lattuada : quando il mare rivela, più che nascondere

 la spiaggia (1954) di Alberto Lattuada è un film di rara eleganza morale, che affronta con sguardo lucido e compassionevole l’ipocrisia borghese del dopoguerra. 

Ci sono film che sembrano semplici, quasi leggeri… e poi ti restano dentro.
La spiaggia  di Alberto Lattuada è uno di quei film silenziosi ma taglienti, che ti costringono a guardare ciò che preferiamo ignorare.

In una località balneare ligure, tra ombrelloni, villeggianti e convenzioni sociali, arriva una donna. È bella, elegante, educata.
Ma porta con sé un passato che, appena svelato, basta a farla diventare "l’altra", "l’indegna", "la colpevole".
È una prostituta.

 Intorno a lei si muove una comunità “per bene”, che accoglie con sorrisi e allontana con disprezzo non appena la facciata cade.
La spiaggia diventa teatro di un processo morale sommerso, dove la condanna non arriva mai apertamente, ma goccia dopo goccia — negli sguardi, nei silenzi, nei giudizi che si fingono difesa della decenza.

La spiaggia è un film che denuncia senza urlare, che osserva senza giudicare, che mostra senza compiacersi.
Un'opera che parla di doppi standard, di ruoli imposti, di moralismo travestito da civiltà.
E lo fa con una grazia visiva e narrativa che oggi appare ancora più moderna di quanto fosse allora.

È uno specchio. Non del passato, ma del presente che non cambia. In La spiaggia, Alberto Lattuada compie un gesto radicale: prende la luce, i sorrisi e la superficie spensierata delle vacanze borghesi e vi spalanca dentro l’ombra più scomoda dell’Italia perbene.

Non c’è retorica, non c’è compiacimento. C’è invece un lento scivolare verso la consapevolezza che il vero scandalo non è la prostituta in villeggiatura, ma la società che la giudica mentre si nasconde.

La spiaggia, luogo pubblico per eccellenza, diventa il campo minato della morale.
Non serve un tribunale: bastano gli sguardi. Bastano i sussurri. Bastano le madri che "pensano ai propri figli", i padri che "non vogliono problemi", le amicizie che si sciolgono con la stessa rapidità di un gelato al sole.

La protagonista ,interpretata con straordinaria sobrietà da Martine Carol , non è una donna fatale. Non seduce. Non chiede nulla. Ma il solo fatto che sia lì, tra “le persone perbene”, è visto come una provocazione.
Il suo corpo non è libero: è colpevole.

Lattuada, con tocco chirurgico, mostra la reazione isterica della società non alla minaccia reale, ma a quella simbolica. La donna è una figura disturbante perché interrompe il gioco delle maschere.
In lei, gli altri vedono riflessi i propri compromessi, i propri segreti. E per questo la rifiutano.

Raf Vallone interpreta Silvio, il sindaco: uomo progressista, empatico, persino affettuoso. Ma anche lui  nonostante le buone intenzioni  è prigioniero del proprio ruolo.
Silvio è l’uomo che tenta di difendere, ma senza esporsi davvero. Che prova pietà, ma non fino al sacrificio. Che vorrebbe proteggere, ma si arrende alla logica del gruppo.
Il suo personaggio è tra i più moderni del cinema italiano dell’epoca: un uomo che non è né carnefice né eroe, ma solo umano. E quindi, inevitabilmente, parte del problema.

Siamo nel 1954, ma La spiaggia anticipa molti temi che diventeranno centrali solo decenni dopo.

 Lattuada osserva tutto con compassione e lucidità. Non trasforma la protagonista in una vittima sacrificale, né in una martire. La racconta semplicemente come essere umano. E proprio per questo il film è ancora così potente oggi.






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