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martedì 2 febbraio 2016

LA FAVOLA DI AMORE E PSICHE

Amore e Psiche di Antonio Canova
Amore e Psiche, la favola di Apuleio che ad opera dello scultore Canova, diviene una delle magistrali opere d’arte del ‘700, sintesi di bellezza e armonia.


Psiche è soprannominata Venere a causa della sua incantevole bellezza. La dea, gelosa del nome usurpatole, decide di punirla e ordina a suo figlio Amore di trafiggerla con una freccia che avrebbe avuto il potere di farla innamorare dell’uomo più avaro e brutto che esistesse sulla faccia della Terra. Amore, inavvertitamente, scaglia il dardo contro il suo piede e diventa vittima di se stesso, depredato da un amore bruciante e fulmineo per la giovane fanciulla. Egli decide di portarla con sé nel suo palazzo, per sottrarla alle ire di sua madre Venere, e trascorre con lei infiammati notti d’amore. Ma Psiche, ottenebrata dall’invidia infida delle sorelle, infrange il divieto impostole da Amore di non poter vedere il suo volto. Ella, infatti, aiutandosi con una lampada ad olio, lo scopre, ma inavvertitamente ferisce il suo amato, che si allontana.
“Come se l’amore forte si esprimesse soltanto attraverso la debolezza. Ed è per questo motivo che ci consola di una storia d’amore solo la parte più dolorosa, e ci disinteressiamo del lieto fine.”
La fanciulla è duramente sottoposta a tre prove, una delle quali prevede che lei scenda negli Inferi allo scopo di incontrare Proserpina, dea dell’Ade, e chiedere di essere bella almeno quanto lei.
“Perché forte come la morte è l’amore, tenace come gli inferi la passione.”
La dea le consegna la sua bellezza in un’ampolla che, quando viene aperta, sprigiona un sonno profondo che mieterà come vittima Psiche. Ella verrà destata dolcemente dal suo amato.
“Così Psiche divenne sposa di Amore secondo le prescrizioni del rito, e quando il tempo per il parto fu terminato nacque loro una figlia che noi chiamiamo Voluttà”

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