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mercoledì 20 settembre 2017
mercoledì 13 settembre 2017
Dormiamo insieme questa notte? Ci addormentiamo abbracciati, con la mia testa sulla tua spalla, il mio naso a sfiorare la tua guancia, il mio respiro su di te. Con il tuo braccio intorno al mio corpo e le mie dita leggere a disegnarti il petto. Con i miei piedi perennemente freddi contro i tuoi che non sposti nonostante i brividi. Con le mie gambe intrecciate alle tue. Tutta la notte talmente stretti da rendere inutili questi pronomi personali. Mio. Tuo. Chi ci distingue più? Siamo noi. È solo nostro.
giovedì 7 settembre 2017
Patricia, citando William Faulkner, si rivolge a Michel e gli dice «Fra il dolore e il nulla io scelgo il dolore» chiedendogli poi: «E tu, cosa sceglieresti?». Ne parlano un po', si distraggono, si guardano. Per più di mezz'ora la macchina da presa non si sposta da quella camera da letto. Uno spaccato di vita, semplice, quotidiana, reale. Mi ha ricordato quei rari momenti in cui parli con qualcuno che sembra capire tutto di te, qualcuno che ti ascolta e sorride, qualcuno che è capace di fermare il tempo. Ma non ero certa di aver mai provato qualcosa di simile. Quel giorno Godard mi insegnò che si può andare avanti anche stando fermi, che si può conoscere anche senza parlare. Qualche anno dopo mi imbattei di nuovo in "A bout de souffle". Era fra gli scaffali di una libreria, in offerta a due euro. Era un giorno d'estate, il giorno prima di un esame importante, e io invece di studiare avevo passato la giornata a parlare con due mie amiche, passeggiando per le strade del centro discutendo dei massimi sistemi del mondo. Era uno di quei giorni perfetti in cui le cose riescono a incastrarsi senza il minimo sforzo. Quella sera riguardai il film insieme a loro, ritrovai la stessa sensazione di serenità e dolore che quella scena mi aveva trasmesso e guardai le mie amiche emozionarsi. Perchè era reale, noi eravamo reali, quel momento l'avevamo appena vissuto. E il tempo si era fermato davvero.
sabato 15 luglio 2017
venerdì 14 luglio 2017
mercoledì 5 luglio 2017
Essere se stessi è difficilissimo. Essere se stessi significa difendere il proprio punto di vista dalle pressioni esterne. Se siamo abbastanza forti da convincere anche gli altri a credere in noi, allora ci verrà chiesto di condividere quello che siamo. Solo in questo caso saremo noi stessi e liberi di esserlo. In caso contrario ci chiederanno di piegarci alle aspettative, consegnare il compitino. Spesso non riusciamo neanche a vedere cosa veramente vuole chi ci è vicino, vi riponiamo sentimenti ed aspettative che non gli appartengono, desideri ed illusioni che sono solo nostri.
giovedì 29 giugno 2017
Nessuno ha amato la vita, seppur disperatamente, più di lui
anniversario della nascita di Giacomo Leopardi (Recanati, 29 giugno 1798).
mercoledì 28 giugno 2017
l tempo senza età. La vecchiaia non esiste di Marc Augé “Invecchio, dunque vivo. Sono invecchiato, dunque sono”.
Tutti, se siamo fortunati, invecchiamo. Ma la vecchiaia è, come comunemente si suol dire, “una brutta bestia”, un “animale permaloso” che bisogna conoscere bene per non permettergli di aggredirci.
“Dimmi come invecchi e ti dirò chi sei stato”. Vero, ma per giudicare bisogna conoscere meglio l’essenza del tema.
“Dimmi come invecchi e ti dirò chi sei stato”. Vero, ma per giudicare bisogna conoscere meglio l’essenza del tema.
Uno dei ruoli degli intellettuali come Augé – etnologo e scrittore reso celebre dalla teoria dei non-luoghi – è farci riflettere su ciò che tendiamo a ignorare o sottovalutare, metterci di fronte a quello specchio che anno dopo anno rifletterà un volto diverso, irriconoscibile, lontano dall’immagine che ognuno di noi mantiene dentro.
Una delle caratteristiche fondamentali della società occidentale degli ultimi decenni è la capacità, la volontà di rimozione di alcune categorie spazio-temporali. Le distanze geografiche quasi azzerate, ad esempio, negli spostamenti aerei fanno perdere il senso della lontananza anche culturale di paesi e popoli, così come la volontà di cancellare la vecchiaia, di rimuoverla nel pensiero comune costringe a fare i conti con il passare degli anni – se ci si arriva in salute - spesso all’improvviso (come un atterraggio imprevisto in una terra sconosciuta) e con imbarazzo, fastidio, dolore.
Una delle caratteristiche fondamentali della società occidentale degli ultimi decenni è la capacità, la volontà di rimozione di alcune categorie spazio-temporali. Le distanze geografiche quasi azzerate, ad esempio, negli spostamenti aerei fanno perdere il senso della lontananza anche culturale di paesi e popoli, così come la volontà di cancellare la vecchiaia, di rimuoverla nel pensiero comune costringe a fare i conti con il passare degli anni – se ci si arriva in salute - spesso all’improvviso (come un atterraggio imprevisto in una terra sconosciuta) e con imbarazzo, fastidio, dolore.
“Così gli anni scorrevano, lavorando e viaggiando, imparando, leggendo, collezionando e gustando. Una mattina del 1931 mi sono svegliato: avevo cinquant’anni”. Dimentichiamo che in questo testo c’erano già le premesse del suo suicidio e cogliamone il lato didascalico, che Augé raccoglie e rilancia traendo spunto anche da altre autobiografie illustri in cui la scrittura diventa lo strumento che permette all’autore di sostituire l’età con il tempo.
Rimandiamo la vecchiaia, cerchiamo di respingerla fermandola attraverso il corpo. “Se si vuole rimanere giovani si deve insegnare al corpo a dissimulare o mentire. Mentire a chi? Agli altri e a se stessi”.
Paradossalmente possiamo dire che sia vero pure il contrario.
Tutta la nostra esistenza è scandita dall’età e dai limiti che questa età impone, la società ci ricorda continuamente in quale punto dell’arco della vita siamo posizionati e, di conseguenza, il ruolo che svolgiamo; raggiunto il suo vertice diventa molto difficile affrontare la curva discendente. Le persone che ci stanno accanto ci mettono di fronte alla realtà in molti modi, ma “io sono davvero questi quaranta, cinquanta, sessant’anni o più attraverso i quali mi trovo condannato a definirmi? In un certo senso è così e sono gli altri, la società e le sue regole che lo decidono”.
Rimandiamo la vecchiaia, cerchiamo di respingerla fermandola attraverso il corpo. “Se si vuole rimanere giovani si deve insegnare al corpo a dissimulare o mentire. Mentire a chi? Agli altri e a se stessi”.
Paradossalmente possiamo dire che sia vero pure il contrario.
Tutta la nostra esistenza è scandita dall’età e dai limiti che questa età impone, la società ci ricorda continuamente in quale punto dell’arco della vita siamo posizionati e, di conseguenza, il ruolo che svolgiamo; raggiunto il suo vertice diventa molto difficile affrontare la curva discendente. Le persone che ci stanno accanto ci mettono di fronte alla realtà in molti modi, ma “io sono davvero questi quaranta, cinquanta, sessant’anni o più attraverso i quali mi trovo condannato a definirmi? In un certo senso è così e sono gli altri, la società e le sue regole che lo decidono”.
Una frase colpisce particolarmente: la vecchiaia, quell’insondabile e nebuloso tempo senza età che emerge da questo saggio (che, in fondo, genera molte più domande che risposte), si riassume in “qualche vuoto di memoria che riveste i giorni passati di una strana inconsistenza, la consapevolezza dei vincoli esterni di qualunque natura che hanno pesato sulla nostra vita fino al punto di farci dubitare, a volte, che sia stata davvero la nostra e, infine, il presentimento che il nostro futuro non si coordinerà con il presente più di quanto quest’ultimo con il passato che l’ha preceduto ma gli sfugge”.
In sostanza: la vecchiaia non esiste e tutti muoiono giovani.
Recensione di Giulia Mozzato
In sostanza: la vecchiaia non esiste e tutti muoiono giovani.
Recensione di Giulia Mozzato
martedì 27 giugno 2017
Ci sono persone che le parole non le trattengono. Non so se le hai mai conosciute. Sono quelle persone che se qualcosa non va, ti prendono, ti guardano dritto negli occhi e ti tengono lì fino a che non avete risolto. Lo fanno perché ci credono........Poi, un giorno, inaspettatamente, rimangono in silenzio. Non parlano più. E allora, chi le vede s’acquieta, pensa che finalmente ce l’ha fatta ad avere un po’ di silenzio. Non sa che persone così, quando cominciano a trattenere la parola, hanno semplicemente smesso di crederci.
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