Francesco d’Assisi ha attraversato il mondo come la carezza di Dio all’umanità. Ma proprio lui, che per tutto il corso della vita aveva desiderato e coltivato l’armonia tra gli animi, verobonum commune, nonostante l’amore irriducibile di alcuni frati, muore in una bolgia di dissensi, confusione, paura del nulla che tuttavia solo la fine di una grande personalità può suscitare. Di contro all’affetto degli amici più stretti, l’attitudine al nulla nichilista di molti rimase a vegliare con sora nostra morte assieme al corpo del santo, mentre le sue parole e i suoi pensieri venivano attratti verso l’alto, ad altezze alle quali persino i confratelli, e tutti coloro che lo avevano amato, non potevano aspirare pur addolorandosi e piangendo quello che era appena diventato un ricordo, la fine di un amore terreno.
Nella scena della composta venerazione e del compianto dei frati per la perdita di Francesco che, tra il 1325 e il 1328, Giotto dipinse in Santa Croce, a Firenze, una nuova luce prese il sopravvento sulla concezione medievale della morte, come esempio di vita resa straordinaria attraverso un modello concretamente realizzabile.
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