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martedì 22 giugno 2021

I MIEI FIGLI DIMENTICHERANNO

 Il tempo, inesorabilmente, svuoterà gli occhi dei miei figli.

Toglierà dalle loro labbra il mio nome urlato, cantato, sillabato e pianto cento, mille volte al giorno. Cancellerà – un po’ alla volta oppure all’improvviso – la familiarità della loro pelle con la mia, la confidenza assoluta che ci rende praticamente un corpo solo. Con lo stesso odore, abituati a mescolare i nostri umori, lo spazio, l’aria da respirare. Subentreranno, a separarci per sempre, il pudore, il giudizio, la vergogna. La consapevolezza adulta delle nostre differenze.
Come un fiume che scava l’arenaria, il tempo minerà la fiducia che mi rende ai loro occhi onnipotente. Capace di fermare il vento e calmare il mare. Riparare l’irreparabile, guarire l’insanabile, resuscitare dalla morte.
Smetteranno di chiedermi aiuto, perché avranno smesso di credere che io possa in ogni caso salvarli. Smetteranno di imitarmi, perché non vorranno diventare troppo simili a me. Smetteranno di preferire la mia compagnia a quella di chiunque altro, e guai se questo non dovesse accadere.
Sbiadiranno le passioni – la rabbia e la gelosia, l’amore e la paura. Si spegneranno gli echi delle risate e delle canzoni, le ninne nanne e i C’era una volta termineranno di risuonare nel buio.
Con il tempo, i miei figli scopriranno che ho molti difetti, e, se sarò fortunata, ne perdoneranno qualcuno.
Saggio e cinico, il tempo porterà con sé l’oblio. Dimenticheranno, anche se io non dimenticherò.
Il solletico e gli inseguimenti (“Mamma, ti prendo io!”), i baci sulle palpebre e il pianto che immediato ammutolisce con un abbraccio. I viaggi e i giochi, le passeggiate e le febbri alte. I balli, le torte, le carezze mentre si addormentano piano.
I miei figli dimenticheranno. Dimenticheranno che li ho cullati per ore e tenuti per mano. Che li ho imboccati e consolati e sollevati dopo cento cadute. Dimenticheranno di aver dormito sul mio petto di giorno e di notte, che c’è stato un tempo in cui hanno avuto bisogno di me quanto dell’aria che respirano.
Dimenticheranno, perché è questo che fanno i figli, perché è questo che il tempo pretende.
E io, io, dovrò imparare a ricordare tutto anche per loro, con tenerezza e senza rimpianto. Gratuitamente. Purché il tempo, sornione e indifferente, sia gentile abbastanza con questa madre che non vuole dimenticare.


′′ Pierrot il pazzo ′′ (Jean-Luc Godard 1965)

 


Per favore, non fateci più ascoltare i calciatori cantare l’inno di Mameli.

 


La proposta è semplice e netta: durante l’esecuzione degli inni, ad inizio degli incontri internazionali, si chiudano i microfoni ambientali, e si lasci il canale audio alla sola musica, alla solennità della esecuzione ufficiale. E’ un esigenza estetica, ma anche comunicativa.

Mi chiedo con angoscia che idea si possano fare, per esempio, del nostro inno i telespettatori non italiani ascoltando i bramiti dei calciatori e l’onda sonora ritardata del vocio degli spettatori.

E non considero alcuni dettagli che già da soli consiglierebbero il silenziamento ambientale: parole sbagliate, tempi non rispettati, e poi quel ‘poropò poropò poropompompompompò’ tra la prima e seconda strofa che suona vendetta.

No, i calciatori facciano quello che sanno fare e lascino l’inno ai musicisti. Continuino, se vogliono a cantarlo durante l’esecuzione ufficiale, ma senza che la tv ce li faccia ascoltare.

E se fosse possibile, ma so di chiedere molto, senza inquadrature di volti sformati, di colli gonfiati e di sguardi alzati al cielo in mistica congiunzione con malintesi doveri della patria.


Giovanni Taglialavoro

Autore televisivo